Da qualche anno a questa parte si continua a parlare di sharing economy, la famosa economia della condivisione, ma di cosa si tratta? In realtà, come ci indica il nome stesso, consiste in una serie di pratiche di business basate non più sul possesso e la compravendita di beni ma, piuttosto, sulla condivisione degli stessi al fine della loro semplice fruizione.
Le fondamenta di tale modello di business si poggiano su una concezione del mercato in cui dal lato dell’offerta, gli individui trovano il modo di far fruttare risorse scarsamente utilizzate – pensate semplicemente alle automobili ferme nei garage per circa una ventina d’ore al giorno – e dal lato della domanda, le persone mirano ad aggirare i costi del possesso di un bene tramite pagamenti al consumo – riprendendo lo stesso esempio bisogna pagare periodicamente bollo, parcheggio, benzina…
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Parlando di numeri, investire in servizi di sharing economy sembra rassicurante. A tal proposito, sono oggi circa 195 le startup mondiali che hanno deciso di puntare sulle prospettive offerte da tale business, con investimenti che superano i 4 miliardi di dollari. In Italia, sono 26 le startup certificate in sharing economy, specializzate soprattutto in servizi di carsharing e bikesharing, homesharing (pensiamo ad AirBnB) e marketplace di professionisti per servizi e prestazioni occasionali.
Per quanto riguarda il futuro della sharing economy, Rachel Botsman, autrice del libro “What’s Mine is Yours” incentrato proprio su tali temi, afferma che esso si basa su uno spostamento del concetto di fiducia, “trust”, e di chi possa essere ritenuto affidabile. Questo avviene proprio perché la fiducia è il presupposto per un clima favorevole alla collaborazione e condivisione tipica della sharing economy.
Botsman sottolinea come l’elemento necessario ad innestare fiducia sia un processo che scaturisce dal basso (bottom up) in modo tale da avvicinare le persone ai servizi di cui usufruiscono, grazie alle tecnologie digitali, e controllare, dunque, le aziende a cui si affidano (pensiamo ai rating e recensioni su Uber o AirBnB).
Anche il Boston Consulting Group ha rivelato un’interessante analisi su questa nuovo modo di fare business. Secondo tale approccio, importanza cruciale è data alla riduzione dei costi di transizione durante la fornitura di servizi. Per esempio, RentShare è un servizio presente in India e Dubai che si occupa di condivisione di articoli elettronici e che fa in modo di eliminare tutti gli inconvenienti e scomodità di un tradizionale servizio di leasing.
Lo studio dell’approccio di RentShare ha individuato due punti critici per la riduzione dei costi di transazione: il primo consiste in una rapida penetrazione degli smartphone, soprattutto nei mercati emergenti, i quali permettono di creare un’ampia base utenti; il secondo consiste in una semplificazione delle piattaforme di condivisione, che si traduce in migliori servizi di intermediazione, in modo da permettere un contatto più diretto tra venditori e acquirenti (attività di matchmaking), di logistica (robot, droni, auto a guida automatizzata), di sicurezza (blockchain, “contratti smart”, nuovi metodi di pagamento).
In conclusione, possiamo concordare che se per anni ha prevalso il concetto di proprietà privata e la ricchezza si costruiva su di essa, oggi, invece, la condivisione è il futuro e la parola “sharing economy” non è un trend passeggero ma è entrata nel nostro vocabolario per restare.
Ma allora domani mattina si sfreccia nel traffico di Milano con una piccolissima Car2Go e la sera a cena con la BMW di DriveNow, giusto?